https://www.facebook.com/groups/227092510835355/
Omaggio a Massimo Troisi ....
Era una sera d'inverno, nebbiosa, di quelle che rendono Torino opaca e misteriosa. Una di quelle serate fatte a posta per infilarti in un cinema o in un teatro. In quell'anno (parlo del '78) a Torino c'era un locale di Teatro-Cabaret in via delle Rosine: si chiamava "Centralino". Era un punto di passaggio obbligato per i cosiddetti "Nuovi Comici", molti dei quali avevano ottenuto una grande popolarità proprio negli studi Rai di Torino con il programma "Non Stop". Essendo in predicato anch'io nel diventare "un nuovo comico", decisi di fare una scappata in quel locale per prendere accordi futuri circa qualche esibizione. Ma era quella una serata speciale, in quanto si esibiva un trio napoletano del quale si cominciava già a parlare molto e bene: La Smorfia. Il teatrino era gremito e a stento riuscii a sedermi su un gradino vicino all'ingresso. Il terzetto era esilarante e calamitava l'attenzione del pubblico con un affiatamento di botta e risposta su scenette di vita quotidiana. Insieme a Lello Arena ed Enzo De Caro svettava il carisma e la sublime gestualità del terzo componente: Massimo Troisi.
Mai avevo visto ed ammirato un attore così padrone non solo della scena, ma dei suoi "tempi" recitativi: fatti di pause, volute incertezze e geniali "chiusure di battute". Mi sarebbe piaciuto conoscerlo di persona perché quella sua personalità era davvero attraente. Non dovetti attendere molto perché quando furono trasmessi i miei primi sketches in televisione, fu lui a cercarmi per scambiare quattro chiacchiere a cena. Insomma, non faticammo molto a diventare amici.
Ma diventare amico di Troisi non era cosa così semplice: la sua proverbiale pigrizia, la sua personalità affascinante ed autorevole, quello strano vivere dalle tre del pomeriggio alle quattro del mattino in casa, quel magnetismo nel far affascinare qualsiasi donna con la quale veniva in contatto, quel bisogno di circondarsi ogni sera degli amici più fidati ed alleati, mi ponevano sempre nella condizione di dover andare io da lui.
Era ossessionato dalla riservatezza, dalla non contaminazione dei suoi "tempi lenti", pigri. Portarlo ad un cinema o semplicemente a cena era uno sforzo disumano. Ma quella che poteva apparire indolenza era sicuramente legata ad un senso di precarietà fisica che lui percepiva molto bene. Nessuno di noi ormai faceva più caso a quel rumoroso "tic tac" che sentivamo sotto la sua camicia: era diventata una consuetudine, addirittura un aspetto della sua personalità. Quel tic tac non regolare, fatto di pause lunghe che ci facevano sbiancare dalla paura. Ma lui ci scherzava sopra, ci rideva addirittura con filosofica rassegnazione. Ma se è vero che ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, il ritmo lento delle sue giornate, delle sue sceneggiature e delle sue decisioni svaniva d'incanto sulla scena, sul set. I suoi film ce lo consegnano come un macinatore di dialoghi, monologhi. Una straripante vèrve recitativa fatta di parole incessanti, superbe gestualità.
Una volta ricordo di aver avuto il coraggio di dirgli: "Massimo, ma non riesci ad essere più asciutto nelle battute?… Certe volte sembri nà radio!". Mi diede l'impressione di averla presa bene. Invece…. nel film a seguire "Pensavo fosse amore invece era un calesse", andò addirittura oltre! Quant'era testardo. Ma nel "Postino", il film al quale teneva più d'ogni altro, Massimo (a mio avviso) raggiunse la perfezione assoluta. Complice forse la sofferenza della malattia, raggiunse un equilibrio s traordinario tra il flusso delle sue battute e i "silenzi". I silenzi poetici che mai prima aveva affrontato. Sembrava quasi percepire il finale della sua vita… Il Troisi del "Postino" è un grande, immenso attore. Una maschera indimenticabile, il testamento del più grande di quelli che furono "i nuovi comici".
Carlo Verdone
Nessun commento:
Posta un commento