Una volta all’interno il colpo d’occhio è spettacolare: la ‘piscina’, scavata nel tufo, è lunga 70 metri e alta 15. Sembra di essere nelle viscere di un’alta cattedrale con volte, navate e ben 48 pilastri dalle cui pareti incrostate di muschi filtrano dalle aperture in alto sprazzi di luce che rendono l’atmosfera quasi mistica.
Dell’efficiente impianto d’approvvigionamento idrico (lungo ca.104 Km), si hanno indicazioni storiche dettagliate per il tratto che da Serino giungeva a Napoli, mentre per il successivo percorso da Puteoli a Misenum, le notizie sono meno numerose e alquanto incomplete. Anche se sul territorio flegreo s’incontrano diverse tracce dell’antico acquedotto augusteo, attualmente risulta particolarmente difficile ricostruirne l’esatto tracciato. E’ noto come nel corso dei secoli gli stravolgimenti morfologici causati dal bradisismo flegreo ed i continui mutamenti del territorio, dettati dalla forte antropizzazione e dai moderni insediamenti abitativi, abbiano modificato il sublime scenario degli “Ardenti Campi”, tanto da far risultare la conduttura un enigma, cui è difficile dare una corretta lettura.
Acqua Augusta
I gruppi sorgentizi siti nel cuore dell’Appennino Campano furono convogliati in un unico condotto che dalla sommità di Serino, dopo aver rifornito piccoli centri e masserie sparse per l’avellinese, oltrepassava monti e valli e giungeva a Palma Campania, passando sopra Sarno. Da Palma, il condotto principale diramava in due bracci secondari: il primo dirigeva verso Nola, da cui, poco più a sud un ramo approvvigionava Pompei; il secondo, lambendo inizialmente piccoli centri, proseguiva su un ponte ad arcate per poi interrarsi, raggiungendo masserie e ville dell’area vesuviana. Da queste località, scorrendo ancora su un ponte ad arcate laterizie, riforniva Pomigliano d’Arco, Casalnuovo ed infine Afragola, dove oltrepassava su grandi archi Via Cupa di Miano (i cosiddetti Ponti Rossi) e raggiungeva Sant’Agnello. Da questa località, il condotto principale diramava ancora in due bracci secondari: il primo riforniva Napoli, mediante Porta Costantinopoli; il secondo discendeva la collina di Pizzofalcone e, dopo aver rifornito la villa di Lucullo, si spingeva oltre la grotta di Posillipo e giungeva nei Campi Flegrei. Difatti, una diramazione secondaria, posta ad occidente della parte terminale della Crypta Neapolitana, forniva l’acqua sia alla maestosa villa imperiale Pausilypon alla Gaiola (attestata da un graffito del 65 d.C., da Augusto avuta in eredità dal ricco liberto Vedio Pollione), sia ad altre ville di Posillipo e Nisida. Viceversa, la condotta principale, dopo aver approvvigionato le terme di Agnano, bypassava a monte Bagnoli e giungeva prima a Pozzuoli ed infine a Bacoli, dove culminava il suo lungo escursus in Piscina Mirabile. Una terza diramazione del Serino, da Afragola, passando per Fratta Maggiore, giungeva ad Atella.
La Cattedrale dell’Acqua
La Piscina Mirabilis, il grandioso terminale idrico dell’Acqua Augusta, fu costruita sulla collina prospiciente il porto di Miseno, per rispondere alle esigenze di approvvigionamento idrico della Classis Misenensis. Tra la fine del I sec. a.C. e gli inizi del I sec. d.C. architetti, ingegneri idraulici e una maestranza multietnica progettarono e costruirono uno dei più grandi capolavori architettonici mai realizzati in epoca romana. Scavata nel tufo, con pareti e pilastri costruiti in opera reticolata con ricorsi in laterizio e tufelli, ricoperta da un intonaco spesso e impermeabile in cocciopesto, la cisterna si mostra a pianta rettangolare e misura metri 70 x 25,50, per 15 metri di altezza e un volume di 12,600 metri cubi d’acqua. Le volte di copertura sono impostate su 48 pilastri cruciformi, che scandiscono l’interno in cinque navate lunghe e in tredici corte; al centro dell’impianto, raggiungibile per mezzo di due rampe di scale disposte negli angoli di NW e SE, è visibile la piscina limaria che fungeva, grazie a studiate pendenze, da vasca di decantazione. Tenendo conto del periodo storico, dei primitivi sistemi tecnici, dei materiali da costruzione usati e della zona d’edificazione da sempre esposta ai continui capricci di una terra ancora in fase di formazione, la Piscina Mirabile rappresenta il trionfo dell’igegno degli architetti romani sulla furia degli elementi. E’ un’opera mirabile, di alta ingegneria idraulica, soprattutto se si pensa alle tante sollecitazioni sismiche a cui è stata sottoposta nel corso dei secoli, nonché ai problemi dettati dalla pressione idrostatica esercitata dall’acqua su ogni superficie a contatto con essa. E’ stato affermato che la capacità idrica della cisterna è di 12600 metri cubi. Nella realtà, se a questo calcolo si sottrae la volumetria dei pilastri, delle pareti e delle scale, la reale capacità idrica di Piscina Mirabile è di “soli” 10700 metri cubi d’acqua, contenuta all’interno di un impianto dalla parvenza di una basilica sotterranea. Fin da tempi remoti, studiosi, architetti, ingegneri idraulici o semplici amanti del bello e della storia di questa terra eccezionale, si sono interrogati, senza trovar risposta, su come l’acqua giungesse a Miseno. Solo recentemente, in maniera del tutto casuale, è stato scoperto il condotto d’immissione alla cisterna, mentre per quello d’emissione permane ancora un fitto mistero. Negli anni sono state formulate tante ipotesi su come le navi e la città militare di Miseno si rifornissero d’acqua. Alcune di queste supposizioni si basano su dati tecnico – storici credibili, altre sono decisamente paradossali, poiché non suffragate da riscontri attendibili come, per esempio, la fantasiosa teoria del condotto su ponte ligneo, con mansioni di correlazione tra la Mirabile, il Porto e la città di Miseno. L’ipotesi che più di tutte sembrava maggiormente verosimile (in assenza del condotto d’emissione), è quella che vedeva la presenza di macchine idrauliche sulla terrazza di copertura, con le quali si attingeva l’acqua da una serie di portelli quadrangolari aperti al centro dell’impianto, per poi convogliarla, mediante un condotto sotterraneo, verso la rada o la città di Miseno. Per il rifornimento idrico delle navi alla fonda nella rada di Miseno, il Doring immaginava un breve condotto di deflusso, con funzioni di collegamento tra la Mirabile e il sottostante Porto. Egli ipotizzava che alla parte terminale del condotto, fosse stata aggiunta una tubatura di prelievo, con “chiusura – soluzione”, simile a quella del grande serbatoio romano di Diocaesarea (in latino) Sepphoris (in greco) nella Galilea centrale in Israele. Altri studiosi, come M. Reddé, ipotizzavano una correlazione tra la Mirabile e alcune ville romane da localizzare tra la marina del Poggio ad oriente e lo scosceso del lato occidentale. Sebbene entrambe le ipotesi meritino la nostra considerazione, permane ancora oggi un fitto mistero sul condotto d’emissione e sul reale ruolo che rivestiva la Mirabile in epoca augustea. Posti all’esterno del lato lungo di NW della Mirabile sono visibili dodici piccoli ambienti, relativi al I secolo d.C. Essi, probabilmente, erano utilizzati dagli addetti alla manutenzione (aquarii e sifonarii) e alla gestione delle macchine idrauliche dell’invaso. Periodicamente, quando il livello dell’acqua giungeva al minimo della capacità, gli assegnati all’impianto procedevano alla rimozione dei detriti contenuti nella vasca di decantazione, utilizzando la stessa rampa di scale dell’attuale percorso di visita. La storia si è espressa raccontando che l’acqua proveniva direttamente dalle sorgenti di Serino ed era talmente ricca di calcare, da richiedere ordinari interventi depurativi. Moderne analisi qualitative delle acque del Serino hanno rivelato che essa, essendo di origine carsica, è ricca di carbonato di calcio e di altri elementi chimici. Qualora l’acqua provenisse dalla stessa sorgente, è difficile comprendere per quali motivi sui pilastri e le pareti della Piscina Mirabile sono ancora evidenti macroscopiche concrezioni calcaree ben attestate e consolidate, mentre sono appena visibili in tracce nella cisterna che fu di Ortenzio alle Cento Camerelle. A tal proposito, in merito ai depositi calcarei della Mirabile, vale la pena ricordare quanto scriveva il Panvini nei primi anni dell’ottocento: “…Era un incrostamento durissimo del genere degli stalattiti, noto al volgo col nome di pietrificazione, che è così tenacemente attaccato alle sue pareti che per staccarlo vi è bisogno dello scalpello. Di questo incrostamento, capace della più eccellente pulitura, se ne lavorano in Napoli tabacchiere e bottoni, ed altre galanterie in una bottega posta nella strada del Gigante di Palazzo”. L’acqua giungeva da sorgenti diverse? A questa domanda non c’è risposta sia nella storia di questi luoghi, sia nella ricerca archeologica. Allora quale strano e oscuro mistero, se mistero c’è, resta ancora da svelare? Sicuramente, l’acqua non era propriamente pura, né cristallina, e doveva decantare. Ciò, come si è detto, è confermato dalla presenza di una piscina limaria, una vasca di decantazione realizzata nella parte centrale dell’impianto idrico. In altre parole, l’acqua veniva utilizzata con parsimonia, rimanendo cheta nell’invaso di Piscina Mirabile, per giorni, forse settimane o, addirittura, mesi. Essa era illuminata e ossigenata costantemente, per impedire che imputridisse o che se ne alterasse il sapore. La depurazione era facilitata attraverso apposite aperture (c.d. bocche di luce o di lupo), poste alla sommità dei lati lunghi dell’impianto, e da una piscina limaria nella quale erano convogliate, mediante sapienti pendenze, le impurità presenti nell’acqua. Sicuramente, le lungaggini della decantazione e lo sporadico utilizzo dell’acqua favorirono l’insediamento di depositi di carbonato di calcio su pareti e pilastri. E’ bene ricordare che in quasi cinque secoli di storia solo poche volte l’anno, l’intera squadra navale, la Classis Praetoria Misenensis Pia Vindex (fu l’imperatore Traiano a fregiare la flotta del titolo Praetoria), o una sua parte, dispiegò le vele quadre al vento e prese il mare aperto.
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