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martedì 6 novembre 2018

‘O Gigante ‘e palazzo e la satira a Napoli

La celebre statua del “Gigante di Palazzo”, collocata nel giardino del Museo Archeologico Nazionale, è un imponente busto marmoreo, un tempo posto sullo scalone di ingresso del Museo, al di sopra di una base con una targa incisa: Busto di Giove da Cuma. Il gigantesco acrolito fu rinvenuto nel Seicento a Cuma - nell’area della cosiddetta Masseria del Gigante - durante gli scavi del Capitolium. Portato a Napoli nel 1668 per volere del viceré spagnolo don Pedro Antonio d’Aragona, si decise di utilizzarlo come testimone monumentale della città. Alla statua colossale furono rifatte le braccia e le gambe e le fu posto alla base uno stemma a forma di aquila su cui era inciso un lungo elogio in favore del viceré. Fu collocata su un’ampia base di marmo nei pressi della “fontana del Gigante”, vicino al Palazzo vicereale, all’angolo della via che congiungeva la nuova Darsena al Largo di Palazzo, l’attuale Piazza del Plebiscito. Da quel momento la strada verso Santa Lucia prese il nome di Salita del Gigante. La statua compare frequentemente nei disegni e nelle stampe dell’epoca, come simbolo della città; il Gegante ‘e palazzo, così soprannominato familiarmente dai napoletani, fu ben presto per Napoli quello che Pasquino fu per Roma e il Gobbo di Rialto per Venezia, ovvero il sito dove si apponevano le satire in versi e in prosa contro le autorità. Principi e regine, viceré e cardinali ebbero l’ingrato onore di ritrovarsi tre le righe dei suoi libelli. Fu messa una sentinella di guardia e si proibì a coloro che vi passavano davanti di leggere i componimenti. Fu persino offerta una taglia per gli autori, ma nessuno riuscì a fermare la “cospirazione” del Gigante che riusciva a produrre ogni giorno oltre mille libelli. In realtà, anche se vi parteciparono penne illustri, la produzione poetica fu essenzialmente popolare; i versi erano spesso spontanei, ma sempre pungenti e provocatori, a volte triviali. Sotto la statua antica la tradizione vuole che fossero “attaccate molte scritture satiriche” contro il regime vicereale, come ad esempio: Vuie pensate a fa’ le tasse, / nuie pensammo a fa fracasse. / Ve magnasteve i fecatielli, / lo Rre se magna i casatielli. Si racconta che quando il viceré Antonio d’Aragona fece imbarcare per la Spagna la famosa fontana dei “Quattro del Molo”, il Gigante commentò così le manie da collezionista del nobile spagnolo: Ah! Gigante mariuolo, t’hai pigliato li Quatto de lo muolo! A mme? Io non songo stato: lo Vicerré se l’ha arrobbato. Prima di lasciare il trono di Napoli a Gioacchino Murat, nel 1807 Giuseppe Bonaparte, non sopportando le satire e le propagande antiregime che lo bersagliavano di continuo, invece di metter una taglia sugli anonimi autori, se la prese col povero Giove cumano, spettatore e vittima ma degno portavoce. Così fu ordinato il trasloco della statua dalla piazza. Si narra che la mattina della rimozione si potevano leggere sul busto le ultime sue volontà: Lascio la testa al Consiglio di Stato, le braccia ai Ministri, lo stomaco ai Ciambellani, le gambe ai Generali e tutto il resto a re Giuseppe. Tutti compresero quale altra “parte” era stata donata per gratitudine al Re… Compito essenziale della statua fu quindi quello di “guardaporte”, mentre del tutto transitorio divenne quello di Giove, identità che nell’immaginario popolare era andata completamente persa.


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