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martedì 14 luglio 2015
Bit generation Storia personale dell'informatica italiana di Mario Bolognani Editori Riuniti 2004
Qualche giorno fa sono andato a Ingegneria (San Pietro in Vincoli) per seguire la presentazione di un libro interessante. Si tratta di “Bit Generation” di Mario Bolognani. Il sottotitolo è eloquente: “La fine della Olivetti e il declino dell'informatica italiana”. Copio dal depliant della presentazione: “L'autore ha attraversato da protagonista il mondo dell'informatica italiana dai primi anni sessanta ad oggi. Il racconto della sua esperienza professionale e politica inizia con una cadenza di narrazione leggera, per assumere la forma di analisi e denuncia delle responsabilità dell'arretramento del paese in questo settore vitale per l'economia e per la società”. Non ho ancora letto il libro, ma naturalmente lo leggerò. Ascoltando Bolognani non ho potuto fare a meno di coglierne il tono dimesso, un po' stanco e “amaro”. La parola “amaro” è tra virgolette perché Bolognani l'ha pronunciata almeno dieci volte. Ma all'uomo non manca l'orgoglio di aver attraversato stagioni indimenticabili, pur tra le loro terribili contraddizioni. “Negli anni 50-60,” afferma Bolognani, “c'erano poche centinaia di calcolatori. Il ciclo di vita di un calcolatore era di quindici anni, e i costi erano rappresentati al 90 per cento dall'hardware”. Bolognani, entrato alla Olivetti nel 1965, chimico per formazione, nello scorrere dei ricordi non lesina critiche alla vita di azienda: “Gli uomini d'azienda si rivelarono assai meno interessanti del mio professore di greco”. E poi, con tono sarcastico: “Le aziende deludono e sono dure. Il peso della gerarchia era assoluto. Il padrone comanda. Si decide in fretta il destino delle persone”. Bolognani descrive in modo dettagliato il periodo nel settore “Ricerca e Sviluppo” a Pregnana Milanese. Narra poi della sua permanenza in Florida, presso la General Electric e di come l'azienda decise, ex abrupto, di rispedire a casa tutti i ricercatori che aveva ospitato. Intorno al 1969 IBM inizia a vendere separatamente hardware e software. Nasce qualche anno dopo l'Italsiel. L'Italia rinuncia all'idea del “computer di bandiera” per dedicarsi allo sviluppo del software. Fu una scelta saggia, sostiene Bolognani, dal momento che il software iniziava a divenire l'elemento centrale dello sviluppo. Il progetto Italsiel (poi Finsiel), secondo Bolognani, partì con due anime: “C'erano uomini di relazioni e uomini di laboratorio”. Lui era un uomo di laboratorio. Il passaggio è abbastanza importante, perché indica il prendere forma di quel processo, terribilmente difficile da comprendere o spiegare, in cui si definisce il rapporto tra politica e informatica. Una vera perla, a tale riguardo, la descrizione di un progetto di “Intelligenza Artificiale” che oggi fa sorridere, ma che nel 1972 aveva coinvolto e appassionato vari personaggi, tra cui Pertini e Natta. Un sistema che avrebbe dovuto permettere ai politici di avere accesso all'archivio delle leggi dello stato con domande in linguaggio naturale. Altrettanto affascinante il racconto dei primi nodi di rete (1973) sviluppati dalla comunità Europea. Mi sembra di aver capito che il centro di ricerca che si occupava di queste indagini pionieristiche sulla comunicazione tra le macchine, collocato sul Lago Maggiore, venne dissolto dopo il tentato golpe borghese. (Pare ci fossero di mezzo fascisti che cedevano informazioni sul nucleare alla Spagna). Bolognani torna a Ivrea, dove l'ingegner Adriano aveva iniziato ad organizzare corsi di lettere per gli operai e Paolo Volponi era divenuto direttore del personale. In seguito l'autore di Bit Generation accetta l'invito di Giovanni Berlinguer ed assume l'incarico di responsabile della ricerca scientifica del PCI. Incarico che manterrà per quattro anni. Di particolare interesse, in quel periodo, l'incontro di Bolognani con Flores, ministro esule del governo Allende. Flores manifestò a Bolognani la convinzione che la crisi cilena fosse stata povocata, in gran parte, da u problema di comunicazione tra centro e periferia. Bolognani sostiene che Flores, per certi versi, è stato il vero padre del groupware, il primo a ragionare con acume sulle possibilità della telematica come strumento sociale. La narrazione di Bolognani prosegue avvincente: tornerà di nuovo alla Olivetti, diventerà direttore generale dell'EDS, parteciperà al polo informatico italiano. Noi però ci fermiamo qui rinviando quanti sono interessati alle fasi “sugose” della gestione De Benedetti dell'azienda di Ivrea alle pagine del suo libro. Qualche osservazione, invece, sulle conclusioni a cui giunge questo interessante pioniere dell'informatica italiana. Secondo Bolognani “il software è la leva centrale dello sviluppo”. E sarebbe necessario costituire una grande impresa del software. Bolognani lamenta che “nell'elettronica italiana non esiste una forza costituente” e chiede che la società civile si faccia sentire. La presentazione del libro si chiude con una citazione di Chomsky in cui si afferma che chi vuole cambiare il mondo deve prepararsi a pagare prezzi molto salati. Ma non sono del tutto sicuro che i “fallimenti” di cui Bolognani dice di essere stato testimone siano da attribuire “solamente” ad insipienza e leggerezza dei dirigenti. Ho infatti l'impressione che la tradizione industriale continui a pesare in modo eccessivo sulle reali possibilità di sviluppo locale. Ingenuamente (o in modo interessato) qualcuno dice che il problema sono proprio i “comunisti”. In realtà i comunisti come Bolognani sono stati assorbiti nel modello di sviluppo industrial novecentesco allo stesso modo in cui lo sono stati i capitalisti. Il problema non è nella teoria marxiana. Basti pensare che Marx, in una nota al primo libro del Capitale che io considero perfino più importante del “frammento sulle macchine”, scriveva che: “una storia critica della tecnologia, dimostrerebbe, in genere, quanto piccola sia la parte di un singolo individuo in un'invenzione qualsiasi del XVIII secolo”. Sulla scorta di Marx autori come Gould o Latour hanno approfondito questo tema, estendendolo alla ricerca scientifica fino ai nostri giorni. Oramai, soprattutto per quello che riguarda la tecnologia informatica, è quasi del tutto impossibile risalire a presunti inventori. Chi ha inventato i blog ? Chi ha inventato la stessa Internet? La conferma più importante dell'intuizione di Marx viene da fenomeni che tutti conosciamo: GNU/Linux e i suoi derivati: wikipedia, LiveJournal la stessa DLP. Ma il possibile è una provincia del vero. L'ipotesi del cognitariato rimane una chimera fin quando non si vede l'innovazione avanzare “from the edge” come un bosco vivente. Solo a quel punto si inizia a pensare seriamente che la questione sia rilevante. Sono osservazioni che non contrastano, in linea di principio, con i nobili propositi di Bolognani. Ma alludono a un campo del tutto diverso. Rispetto al quale pochi, o forse nessuno, è davvero preparato. Peccato. Perché la partita si giocherà tutta sul campo dell'invenzione comunitaria. Bolognani è lucidissimo nel criticare il piglio autoritario dell'industriale fordista, la confusione tra attività di produzione industriale e attività di sviluppo del software che ha caratterizzato l'industria italiana. Ma non sembra trarre dalla lezione tutte le debite conseguenze. Il fatto che gli “uomini di relazione” abbiano vinto, che la telefonia cellulare sia divenuta il “core business” della Olivetti, che gli “uomini di laboratorio” siano stati emarginati, dipende anche dall'incapacità di collocare l'informatica all'interno del tessuto socioeconomico locale, dalla resistenza a liberarla (almeno parzialmente) dalle torri d'avorio in cui, nel silenzio, il “management consulting” sottomette e offende gli uomini con il camice bianco. saluti Rattus
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