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mercoledì 10 giugno 2015
Così è ricostruire i bagliori del raggio l’aspirazione remota, ricreare ogni giorno i rami dell’albero e il mattino. La luce invecchia nelle chiarezze abbaglianti, scopre le incandescenze sconosciute che fuoriescono dai gradi della fede. Il riposo vivo ricostruisce acque e visi, e vita intorno, e le gentilezze di superfici e profondità. mette insieme le parole migliori, nel senso che si ricompone, sorpreso di appartenere amabilmente, alle discipline semplici del corpo. L’indecisione incisa atrocemente nel sangue, svapora in leggerezze trionfali. Ma è la preghiera che sta ai vertici del cuore. Per la preghiera tutto è insufficienza del tormento, che insegna a distribuire forza e passione. Mi nascondo nei simulacri di tutte le lingue, nella gioia di rivelarmi senza premeditazione. E ritorno indietro, riposando nell’estremità dell’ombra. Ritorno da quello che vedo, con la luce assolta. Alla fine compare la mitezza universale, nei fantasmi puri dei percorsi. Solo altro sogno può avvicinarmi alle parole , da usare per rispettare la fede di Cristo. Perché l’espressione si lega con l’ispirazione, e tormenta le nostalgie che ritornano alla loro modestia. Per fortuna l’adorazione passata soffoca l’invocazione, l’anima rinuncia al palcoscenico dell’estasi, e la grazia incosciente è lasciapassare per la mente Ti rimprovero di non aver riconosciuto l’orgoglio fluido delle mie profondità, in mezzo alle scomposizioni assassine delle eccitazioni. Ti rimprovero i diritti pendenti dalla tua corolla, col velluto delle presunzioni, la rosa dei fascini esibita infantilmente, la rigidità della miseria che non distingui. Ma ormai i venti stessi si incastrano nelle loro leggerezze, e si fanno inutili le comprensioni più attese. In una bolla di tristezza sfuggita alla stanchezza, mi sono abbandonato a un soffio d’amore che ho vissuto
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