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giovedì 2 aprile 2015

"La Biblioteca di Babele"

Francia, 1894: un raffinato scrittore, Pierre Louÿs, pubblica una sua raccolta di poesie come se fossero la traduzione di una poetessa greca dell’epoca di Saffo. Tradurle è l’occasione colta da Eva Cantarella per ridiscutere dell’omosessualità femminile nella Grecia antica, tramite l’idillio immaginato fra due fanciulle in un thiasos, l’amore tra Bilitis e Mnasidika.

 “Tutto, la mia vita, il mondo, gli uomini, / tutto quello che non è lei non è nulla. / Tutto quello che non è lei te lo regalo, / viandante.”

 “La storia delle Chansons de Bilitis rimanda due immagini ottocentesche della Grecia molto diverse tra loro, ma unificate dal fatto di essere, comunque, la proiezione di un sogno: quello di chi, come Pierre Loüys (e i suoi molti ammiratori), la vagheggiava come il luogo della libertà pagana e il momento felice in cui sentimenti, emozioni e sensazioni avevano potuto esprimersi al di là di ogni forma di repressione, e quello di chi, come Wilamowitz, la idealizzava come luogo dell’autodisciplina, del controllo di sé, della bellezza e della civiltà intese come risultato di una tensione intellettuale e morale che era stata alla base di ogni conquista scientifica, artistica e politica. Che il sogno di Pierre Loüys fosse, nelle linee generali, assai lontano dalla realtà abbiamo detto. Ma anche la Grecia di Wilamowitz era in altro modo un sogno: che la disciplina dei greci e il loro controllo di sé fossero ispirati a una morale sessuale diversa dalla sua era cosa che neppure il principe dei filologi poteva ammettere. Così che, delle Chansons, egli si impegnò a criticare con particolare accanimento, per denunciarne la falsità, proprio l’unico aspetto che in qualche modo, sia pur molto approssimativo, poteva avvicinarsi alla realtà: l’amore tra due fanciulle in un thiasos, l’amore tra Bilitis e Mnasidika.” Eva Cantarella

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