La bellezza del litorale di Posillipo e il fascino dei suoi luoghi hanno fatto si che sin dall’epoca romana venisse prescelto dal patriziato per edificare le famose ”villae marittimae” che arrivarono poi a bordare tutto il litorale. Strabone ce ne testimonia la presenza in età Augustea e ce lo conferma nel 1800 l’appassionato studioso di archeologia Robert T. Gunther, anche se secoli di abbandono hanno distrutto gran parte di queste splendide testimonianze, vessate anche dagli agenti atmosferici, dagli eventi sismici e dalle successive stratificazioni. In epoca medievale quasi tutto il territorio posillipino entrò a far parte delle grandi proprietà latifondiste del Clero che venivano gestite da chiese e monasteri e che, in virtù di concessioni antichissime, ebbero fino al 1750 perfino il possesso dei diritti di pesca sulla zona (Domenicane del Convento dei SS. Pietro e Sebastiano) . Nel XV secolo il clero dovette cedere gran parte di queste vaste aree coltivabili agli aristocratici per scaricarsi del peso della loro manutenzione, in cambio di un censo annuo. Riprese così il processo edificatorio che, preferendo ovviamente la costa, trasformò gli antichi siti in splendidi palazzi distruggendo spesso quello che era rimasto delle antiche vestigia. L’obbligo a risiedere entro le mura imposto agli aristocratici dal Viceré Pedro de Toledo, determinò il trasferimento delle famiglie nobili nell’affollato centro cittadino dove costruirono i bei palazzi tuttora esiste e dove il potere vicereale poteva controllarli e sedare le eventuali rivolte. Fu allora che lungo la costa cominciò la costruzione di strutture massicce e tozze per la difesa sia contro i marosi che contro gli attacchi dal mare che ne Seicento venivano temporaneamente utilizzate per godere degli spettacoli e delle feste a mare che, tra terremoti (1609-1694), eruzioni, carestie e pestilenze, serviano alla nobiltà per esorcizzare la paura. Durante le feste organizzate dal marchese del Carpio (1684), i palazzi di Posillipo splendevano per le migliaia di candele e di lumi ad olio producendo uno scenario maestoso . L’austerita della corte Viennese (che nel 1707 si era sostituita a quella Aragonese) ed il disprezzo dei suoi funzionari per le gite in mare li porto ad affittare le residenze estive a Barra e, successivamente, il trasferimento della Reggia a Portici (effettuato da Carlo di Borbone) portò gli aristocratici a costruire le proprie ville sulle falde del Vesuvio ove alcune grandi famiglie possedevano fondi rustici (Miglio d’Oro), determinando il definitivo abbandono di Posillipo.I palazzi abbandonati divengono abitazioni di pescatori e contadini della collina e, solo nell’800, affermatasi la nuova nobiltà borghese e cosmopolita, vengono recuperati e trasformati nelle splendide ville attuali. In questo panorama storico si inseriscono le vicende del complesso architettonico denominato ”Villa Pavoncelli”. Esso è situato nel tratto di costa che da Palazzo Donn’Anna si estende fino a Villa Grotta Marina. Non ha le caratteristiche della villa classica, mancano infatti gli elementi architettonici canonici: la scala e il portale. Questo perché non nasce con una struttura unitaria bensì dal successivo inglobamento di più fabbricati, alcuni di fattura più antica descritti dalle cartografie seicentesche e da testi successivi, altri aggiunti dopo il 1875. Fabbricati più antichi sono identificabili grazie alla descrizione che ne dà Francesco Alvino: ”La casa del conte di Frisio, Brigadiere Celli, eminente sovrasta lo scoglio e d’amena vista guarda tutto il golfo. Sottoposta v’e la casa di Ajale, che sporge sul mare; ivi sono piccoli ma deliziosi giardini, che puoi vedere anche dalla strada. Alcuni loggiati ad essi aderenti poggiano su una casa diruta e cadente con una grotta. Prima tutto ciò apparteneva al nobil consultore Colajanni”. Nella pianta del Baratta (1629) e nella successiva incisione (1680) viene descritto in questo sito un edificio denominato ”Casa del Castellano” (da non confondere con la casa di Giacomo Castellano posta oltre il capo di Posillipo) e ne e evidenziato il bel giardino pensile. E’ presente anche una rampa di scale che, scendendo dalla collina arriva fino al mare. Nel XVll sec. i terreni sui quali si svilupperà il complesso della villa appartengono a Santo Maria Cella, morto nel 1680, che rappresentava il granduca di Toscana a Napoli e che, divenuto per nozze duca di Frisa, (denominazione che si trasformerà poi in Frisio), era entrato a far parte del gruppo dei grandi operatori finanziari del regno. Il suo palazzo in città si trovava in vico Concezione degli Spagnoli (oggi via Paolo Emilio Imbriani), a ridosso di via Toledo ed era famoso per la sua quadreria . Questi beni appartengono alla famiglia Cella fino alla meta del XIX secolo. Nel 1854, morto Filippo Cella, ultimo dei duchi di Frisio, la proprietà passa al pronipote Nicola Porcinari e successivamente nel 1858, alla sua morte, gli eredi frazionano e vendono la vasta proprieta nella contrada di Posillipo. Gran parte dei beni vennero acquistati dalla famiglia Pavoncelli, ricca famiglia di mercanti di Cerignola . Sul finire dell’800 i Pavoncelli, la cui residenza in città era in palazzo S. Teodoro nell’ambita Riviera di Chiaia, erano ormai titolari di una ditta bene affermata e, con l’acquisto dei contesi siti nobiliari di Posillipo, dove risiedevano nel periodo estivo, consolidarono anche il loro prestigio. Dopo aver acquisito l’antica casa del duca di Frisio, i Pavoncelli divennero proprietari di quasi tutto il territorio che era appartenuto alla famiglia Cella. Tra il 1875 e il 1912 Gaetano Pavoncelli ed il nipote, suo omonimo, avviano numerosi interventi edilizi nella zona a monte di via Posillipo, tra questi la Villa De Martino al civico n. 316 ed un edificio a 3 piani sul territorio seminativo alle spalle della Chiesa dell’Addolorata (unico lembo del territorio che i Cella non hanno venduto e che in quest’epoca e già passato ai Gaetani di Laurenzana). Nello stesso periodo il ”Casino di Frisia” e gli edifici verso il mare nella zona a valle della strada, vengono sapientemente unificati con successive stratificazioni fino a raggiungere l’attuale configurazione e sono utilizzati dalla famiglia come residenza estiva. Il complesso architettonico presenta un organismo planimetricamente complesso con ampio giardino ed una grotta aperta su una spiaggetta visibile nell’ antica mappa del duca di Noja (1775). I diversi volumi si sviluppano secondo un andamento a terrazze, a quote diverse, sequendo il pendio della collina. Sulla strada l’edificio emerge con un solo piano fiancheggiato dal rigoglioso giardino con pini marittimi e palme, che si attesta su un terrazzamento posto a quota inferiore. La ricomposizione architettonica dei vari corpi di fabbrica preesistenti, la casa di Ajale, quella del Colajanni e la casa del duca di Frisio, è basata sul sistema dei camminamenti pedonali esterni che seguono gli antichi tracciati viari che collegavano le parti alte della collina col mare. Il tratto a monte dello stesso percorso corrisponde all’incirca all’attuale via del Parco Carelli.
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