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domenica 18 febbraio 2018

Il cavallo napoletano

La rinascita di un emblema di Napoli

I primi greci che sbarcarono sulle nostre coste (ancor prima della colonizzazione di Cuma, quindi prima del secolo VIII. a.C.) furono talmente colpiti dalla robustezza dei cavalli locali che raccontavano di averli visti camminare sulla lava ardente. Poi arrivarono gli etruschi con i loro cavalli snelli ed eleganti, che s’irrobustirono incrociandosi con quelli autoctoni. Con l’arrivo dei romani, che introdussero nel territorio i resistentissimi e possenti cavalli berberi, avvenne il connubio felice fra questi soggetti e gli etrusco -campani, longilinei e leggeri. Il bel napoletano, poderoso e nel contempo leggiadro, cominciò allora a delinearsi. La piana di Capua, fertile e ben irrigata, divenne il territorio eletto dove le mandrie prosperavano e s’imbellivano. C’è chi dice che Annibale si fermò a Capua anche per procurarsi cavalcature di grande qualità. Da Capua venivano i cavalli bianchi cavalcati dai consoli romani nei trionfi, di Capua era la candida Ghinea che, fino ai tempi di Ferdinando IV, portava in groppa il tributo dei re di Napoli al papa. Con gli angioini, l’allevamento fu incrementato e lo fu maggiormente sotto il dominio degli aragonesi. Durante il vicereame spagnolo, le caratteristiche della razza napoletana si affermarono.L’Unità d'Italia spazzerà via poco a poco quest’opera d’arte vivente. Anche i celeberrimi allevamenti, come quello dei Farina [iii], scompariranno all’inizio del ‘900. E la razza fu dichiarata estinta. Solo in tempi recenti in un paese dove tutto è possibile, nel bene come nel male, un uomo è riuscito a rimettere al suo posto il prezioso tassello nel mosaico campano. A Piano di Sorrento, un torrefattore di antica famiglia, ha voluto sfidare il tempo e la natura, e credere nella resurrezione. Senza far rumore, nell’indifferenza generale e nell’assenza più assoluta di aiuti, anzi lottando contro la derisione e l’incredulità, Giuseppe Maresca ha operato il miracolo

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