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martedì 11 luglio 2017

Napoli: Lo scugnizzo

Storia: 

Lo scugnizzo è il ragazzino napoletano della tradizione. Lacero, vestito di stracci, è cresciuto praticamente in strada: dal “basso” in cui abita alla pubblica via, è un passo. Insieme alla pizza e al mandolino, lo scugnizzo appartiene all’archetipo napoletano, nonché allo stereotipo. Lo scugnizzo è un impunito: di punizioni non gliene danno i genitori (che di fatto non se ne occupano), né gli insegnanti (a scuola non ci va). La sua maestra (di vita) è la strada: con le sue durezze, ma pure con le sue grandi opportunità. Sempre in giro, dalla mattina alla sera, lo scugnizzo diverte, e si diverte: sa usare la mano e la lingua, e si serve di entrambe con generosità. Lo scugnizzo dei tempi di guerra, rappresentato nei film del neorealismo (si pensi a “Sciuscià”) era superlativo: piccolissimo, magrissimo, furbissimo. E prontissimo a vendere agli altri scugnizzi i militari americani arrivati a Napoli: quei bambin(on)i che gli scugnizzi napoletani non sarebbero stati mai. Se la vita dello scugnizzo, tra fame e miseria, era piuttosto complicata, la nascita della parola “scugnizzo” è altrettanto complessa. Scugnizzo deriva dal verbo “scugnare”; scalfire. Quello che andava scalfito era lo strummolo: una rudimentale trottola di legno dotata di una punta di ferro, il perno sul quale la trottola, abilmente manovrata, girava. Lo sfizio dei ragazzini “ ‘e miez’a via” (di strada) era quello di “scugnare”: di scheggiare lo strummolo degli altri con la punta di ferro del proprio. Da qui, “scugnizzi.” Oggi lo strummolo è scomparso, e insieme a lui lo scugnizzo. I ragazzini napoletani, come quelli delle altre parti d’Italia, sono passati dalla magrezza patologica del periodo bellico all’obesità. Ai giochi di strada si sono sostituiti i giochi al computer. Che non sono certo quell’addestramento alla socialità e alla vita che erano i giochi (non tutti tranquilli) che gli scugnizzi facevano per la strada: che ha fatto da scuola, e da accademia, per generazioni di napoletani.

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