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mercoledì 16 maggio 2018

La festa di Piedigrotta era anticamente una festa religiosa napoletana, ereditata dai Borboni, e si svolgeva nella notte tra il 7 e l’8 settembre, in occasione della Natività di Maria Vergine.

Si narra che durante le prime luci del mattino del 7 settembre, le vie e gli atri dei palazzi venivano addobbati per la festa, durante la quale sfilavano carri arricchiti con vere e proprie orchestrine con mandolini e chitarre. Inoltre non mancavano “gruppetti di monelli muniti di aggeggi rumoristici e dello strumento principale, indispensabile e caratteristico della festa, ‘a trummettella (un cono di latta grossolanamente dipinto che emetteva una sola stridula nota), i quali davano le avvisaglie di quello che sarebbe stato il ciclopico concerto notturno”. 

 Le canzoni erano tante, ed erano al centro di questo favoloso movimento, ne venivano premiate cinque o sei, considerate le migliori, scritte ora da poeti di fama e da compositori di gusto, ora da gente che per mestiere faceva tutt’ altra cosa che scrivere testi canori. In occasione quindi della Piedigrotta canora, nata nel 1835, ci fu un’esplosione di talenti che si espressero in dialetto e descrissero e cantarono in musica i sentimenti e i problemi della città. Dietro quei versi e quelle note, gli scrittori napoletani cercavano con disperata allegria di trattare episodi di vita, di costume e di gusto strettamente legati alla cronaca cittadina. 

 La festa di Piedigrotta, decretò l’Ottocento come il secolo d’oro della canzone napoletana, e con essa si affermò anche lo sviluppo dell’editoria popolare e nacque quindi l’industria musicale. “Ci furono pertanto profondi cambiamenti nella festa tradizionale: erano nati nuovi riti, nuovi ‘pellegrinaggi’, nuove mete per le feste settembrine”. Luca Torre, ci informa che i primi editori delle canzoni piedigrottesche furono modesti tipografi che stampavano rozzi foglietti volanti, fogli su cui venivano trascritti i testi delle canzoni più note e venivano venduti poi a un grano l’uno dai venditori girovaghi. All’autore invece veniva offerto qualche centinaio di copie e qualche carlino. Si ascoltavano i brillanti versi di Libero Bovio, Roberto Bracco, Ernesto Murolo, Ferdinando Russo, Rocco Galdieri, e i testi di “Io te voglio bbene assaje” di Raffaele Sacco; “E spingole francese”, “Nannì! Meh dimme ca sì!”, “Marzo”, “”, di Salvatore Di Giacomo; “funiculì funiculà” di Peppino Turco; “O sole mio” di Giovanni Capurro, divennero successi commerciali famosi in tutto il mondo, poiché i ritornelli di questi successi tendono a ridursi a puri giochi fonici.


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