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martedì 17 aprile 2018

IN CAMPANIA ARTIGIANO VUOL DIRE ANCORA ARTISTA, MA…

A lungo l’artigianato a Napoli è stato un laboratorio multiforme di eccellenti produzioni nei diversi settori dell’abbigliamento, dell’oggettistica, della gastronomia e via dicendo, allo scopo di “difendersi” dalla globalizzazione garantendo tipicità, qualità e prezzo. Da un po’ di tempo si riscontra il desiderio di autenticità e legame col territorio, come testimoniano gli stessi mercati e mercatini che offrono oggetti artigianali fatti localmente: al di là del prezzo contenuto e del perfezionismo tecnico, offrono all’acquirente la gradevole sensazione dell’unicità. Ma non basta la spinta dal basso per dare nuova linfa ad un settore in profonda crisi. Eppure l’artigianato napoletano è un mondo di falegnami, orologiai, fabbri, piccole sartorie, vetrai, tappezzieri e di tante altre figure di cui si sente sempre più la mancanza, soprattutto oggi che il costo della vita induce a riflettere sull’acquisto di cose nuove, quando con una spesa contenuta si potrebbe riparare o riadattare ciò che già si ha. Un vuoto che incide anche sulla disoccupazione cittadina. Sarebbe opportuno, per tale motivo, che invece di relegare le scuole artigiane ad un ruolo marginale, si esaltassero tutte le iniziative tese ad indurre giovani a riappropriarsi, con le nuove tecnologie disponibili, di mestieri artigianali che, unitamente a tutti gli altri mestieri artigiani cosiddetti di servizio, vanno a completare il variegato mosaico dell’artigianato, da sempre parte essenziale del patrimonio umano di questa terra fin dall’antichità. L’attività artigianale costituisce una fonte fondamentale per la ricostruzione della storia di una civiltà in tutti i suoi aspetti. La testimonianza delle opere che ci hanno lasciato gli artigiani ci aiutano a comprendere l’evoluzione della economia di un popolo, le sue ricchezze, le attività produttive, le finanze, la distribuzione dei prodotti sul territorio. La qualità e la quantità della produzione dell’artigianato, dall’antichità all’età contemporanea, ci consente di ricostruire le classi sociali e i loro mutamenti; di ricostruire i mutamenti dei gusti e delle esigenze di un popolo, le sue sensibilità artistiche e culturali. Dal paesaggio rurale in particolare dalle case abitate dai contadini e dalle chiese di campagna, dalle loro caratteristiche architettoniche, dalla loro posizione e dalla loro struttura si può ricostruire il vivere civile ed economico di un popolo. Lo stesso vale per le strutture abitative delle città. Interessanti sono gli utensili di creta o di metallo e le armi prodotte e conservate fino ai nostri giorni. I monili di oro, di argento, di corallo e di tante altre pietre preziose sono l’indice delle ricchezze, dell’agiatezza, del gusto e della cultura di un popolo. Lo stesso vale per la lavorazione del legno, della seta, delle stoffe e delle pelli, della ceramica, dei marmi. Per testimoniare l’evoluzione della civiltà, dell’economia e della cultura, degli abitanti della Campania basta prendere in considerazione la produzione artigiana di alcuni settori caratteristici locali: il corallo, l’oro, la seta, la ceramica e l’intarsio in legno, la punzonatura, la riproduzione di calchi in gesso e altro, l’intarsio dei marmi, ecc. Occorre dedicare attenzione ai processi di aggregazione o di disaggregazione, oppure (come sta accadendo ora) dei processi di globalizzazione o di frantumazione: da sempre nel primo caso si produce incremento, nel secondo si distrugge, solo sulla base di disposizioni giuste o sbagliate emanate dalle istituzioni. Se i processi coincidono con il rispetto di quello che si chiama “indole o spirito del luogo” sono motivo di crescita della civiltà e se contrastano sono ragione di arretratezza


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